sabato 25 ottobre 2014

Intervista a Salvatore Bandinu solo testo. Oltre le barriere, terza puntata: 2 Luglio 2014

OLTRE LE BARRIERE quarta puntata, andata in onda il 10 Luglio 2014 Andrea Ferrero e Andrea Mameli intervistano Giovanni Orrù
Storie ordinarie per chi le vive e straordinarie per chi le scolta. Una trasmissione ideata e condotta da Andrea Ferrero e Andrea Mameli in onda su Radio X per Cagliari Social Radio.

ANDREA MAMELI: “Benvenuti a “Oltre le barriere”, il programma che racconta storie ordinarie per chi le vive e straordinarie per chi le ascolta. Ciao Andrea! Chi siamo andati ad intervistare?”
ANDREA FERRERO.: “Eh! questa settimana, diciamo, preparati la borsa con cuffietta e costume!”
A.M.: “E pinne?”
A.F.: “E pinne! Siamo andati ad ascoltare e a sentire Salvatore Bandinu, istruttore di piscina, specializzato soprattutto per la disabilità, soprattutto, quella visiva.” A.M.: “Uno che aiuta a superare le barriere!”
A.F.: “Ok! Sentiamo l’intervista!”
A.F.: “Ciao Salvatore! Allora, io per prima cosa volevo chiederti.. qualcosa su.. intorno al tuo libro “Acquaticità, motricità e minorazione visiva”: come ti è venuta l’idea di scriverlo?”
SALVATORE BANDINU: (voce giovanile, sicura, ferma e professionale) “Allora, inizialmente, io sono stato invitato dall’Unione Italiana Ciechi a partecipare ad un corso di formazione a Marina di Tirrenia, esattamente, che vedeva coinvolti una persona per ogni regione.. io sono stato scelto per la Sardegna.. all’epoca, non conoscevo bene le problematiche legate alla minorazione visiva, ma ero già un istruttore e tecnico di nuoto. Questa esperienza mi ha portato a capire che, intorno alla disabilità visiva c’era tanto da dire e molto poco scritto, soprattutto, su.. per le problematiche riguardanti il nuoto. La cosa mi ha portato, ovviamente a cercare bibliografia e a non trovare molto e mi ha spinto, quindi, a scrivere qualcosina che riguarda sempre tutta questa problematica.”
A.F.: “Secondo te, come lo sport, quindi il nuoto, qui, in particolare, può aiutare a superare le barriere?”
S.B.: “Allora, lo sport, in particolare il nuoto, aiuta a superare le barriere partendo dal concetto principale, cioè il proprio corpo. Perché noi siamo abituati a parlare di barriere, in termini di barriere architettoniche, barriere culturali, barriere sociali.. ma ci dimentichiamo, fondamentalmente, questo è un dovere dei tecnici, in particolare sportivi, che il primo vero oggetto della psicomotricità è il proprio corpo. I soggetti con minorazione visiva o con disabilità in generale, ma, in particolare, quelle minorazioni sensoriali,.. diciamo che esiste una “barriera interna” che è rappresentata proprio dalla conoscenza del proprio corpo e non solo dalla conoscenza del proprio corpo, ma anche dall’integrazione di emozioni e relazioni. Questo porta, a che cosa? Porta ad un blocco, emotivo-sociale-relazionale, che poi si sviluppa, ovviamente, in senso patologico, cioè nei rapporti colle altre persone, nei rapporti col mondo. Quindi, fin che non viene scardinato questo sistema un po’ patologico e perverso della, diciamo, chiusura in se stessi, una sorta di “autismo” dato dalla minorazione, non si può parlare di vera integrazione, ma si parlerà di “omologazione”, di addestramento, che sono dei concetti molto differenti, a cui io.. ovviamente, sono molto legato a questa differenziazione, va sempre fatta!.. perché è un errore che, praticamente, è comunissimo a qualunque tipo di categoria, insomma!”
A.F.: “Tu sei anche docente della Federazione Italiana Nuoto per formare gli istruttori. Secondo te, è opportuno che gli istruttori, durante la loro formazione, abbiano anche rapporti, diciamo, colla disabilità e quindi, siano formati per poter lavorare anche con atleti disabili o, come dici tu nel tuo libro e mi piace molto, “con bisogni educativi speciali”?”
S.B.: “È fondamentale! Perché anche nello sport c’è bisogno di integrare, ma integrare che cosa? Qui, stupiamo e cambiamo un po’ il punto di vista: non integrare il diversamente abile all’istruttore, ma integrare l’istruttore alla disabilità! Quello che a me piace chiamare come “integrazione al contrario”, il concetto di integrazione al contrario. Normalmente, nei secoli, è sempre stato così! É il diversamente abile che si è dovuto adattare alla società e alle.. passatemi il termine, “ignoranze altrui”.. in questo caso, invece, è opportuno, anzi fondamentale che l’istruttore capisca determinati meccanismi per non trovarsi, diciamo, disarmato di fronte ad una disabilità che fa molto paura, come quella visiva. Quindi, quando noi, io in particolare, insegno, durante i corsi, avvalendomi appunto di Andrea, che è un amico, quindi, Andrea Ferrero che è qui con noi, e… noi uniamo la teoria alla pratica in modo tale che non cadiamo nell’errore di lavorare con un’etichetta e con una diagnosi, ma lavorare con una persona e quindi, superare tutte quelle difficoltà anche metodologiche che può avere un istruttore e aiutare l’istruttore, in questo caso, a relazionarsi in armonia colla disabilità. Diversamente si rischia di rapportarci ad una malattia e di non rapportarci ad una persona!”
A.F.: “Salvatore, secondo te, cosa un istruttore non deve o non dovrebbe mai fare con un atleta e, soprattutto, con un atleta disabile?”
S.B.: “Sì, parliamo cosa non dovrebbe fare con un atleta, ma non mi piace il termine “atleta”, mi piace il termine “persona che frequenta un centro sportivo”, in questo caso una piscina. Cosa non dovrebbe mai fare? Non dovrebbe mai rapportarsi ad una malattia, cosa che invece capita sempre più spesso! E questo capita quando l’istruttore non è formato, quando l’istruttore, semplicemente, è vittima di stereotipi, vittima di luoghi comuni e quindi, si rapporta ad una malattia, pensando di dover fare, non so.. una sorta di terapia attraverso l’utilizzo dell’acqua. E questo è sbagliatissimo, anche perché l’istruttore non è un fisioterapista, l’istruttore non è uno psicologo! È un istruttore, ma dev’essere formato! e quindi, deve aver ben chiaro che si trova davanti una persona che ha dei bisogni educativi speciali, come dicevamo prima, che sono, tra le altre cose, sanciti anche dai programmi ministeriali delle scuole, perché finalmente si è capito che ogni persona è diversa da un’altra e, quindi, al di là della “non vedenza” o dell’essere disabili, con altre tipologie o altre forme, bisogna sempre considerare che il nostro patrimonio, diciamo, culturale-motorio, la nostra capacità di insegnare deve essere sempre messa in relazione alla persona che abbiamo davanti. Quindi, l’errore che assolutamente non deve fare è rapportarsi con un etichetta, con una diagnosi e con una malattia!” A.F.: “Quindi, neanche con tempi, vasche, tecnica?”
S.B.: “Quelle sono scelte! Nel senso che io lascerei sempre ai miei… chiamiamoli “atleti”, come dicevi tu, la possibilità di scelta! Ci sono tantissime persone che non gradiscono fare delle competizioni, ma vorrebbero venire semplicemente in piscina a farsi quattro vasche in armonia! Questo, noi pecchiamo di presunzione quando crediamo che tutti i diversamente abili che vengono in piscina abbiano voglia di riscattarsi attraverso l’agonismo: ci sono moltissime persone che.. a cui piace riscattarsi attraverso il benessere! E quindi, a queste persone noi dobbiamo dare un servizio, un servizio anche professionale e serio!”
A.F.: “ Salvatore, volevo farti un’ultima domanda: secondo te, quindi.. sì, voi istruttori formate con.. insomma seguite atleti con disabilità o comunque con bisogni educativi speciali, però, penso che la cosa sia anche al contrario.. cioè, che siate anche voi formati dal lavorare con chi ha disabilità?”
S.B.: “Assolutamente sì! Non è possibile insegnare se prima non si è fatta un’esperienza concreta nel campo ed è sempre un imparare cose nuove, soprattutto dal confronto che si instaura alla fine dell’esperienza: di solito, io sono solito organizzare un gruppo finale di lavoro dove c’è una sorta di confronto, dove ci si dice le cose che sono andate bene, le cose che sono andate male e quindi, è lì che s’impara realmente a lavorare, diversamente rimarrebbe pura teoria, rimarrebbe enciclopedismo e, alla fine, il concetto di informazione rimarrebbe tale. Invece, a noi interessa formare che è un qualcosa di molto diverso dall’informazione semplice!”
A.F.: “Io, poi, penso che, da.. da disabile, ecco.. lo vedo col, dal mio punto di vista, non si cerchi il “genio della lampada”, il “superesperto”.. ma si cerchi una persona che abbia un minimo di sensibilità, una formazione.. insomma, così, che poi migliorerà col tempo… però, comunque, non il genio, non il “super istruttore”! cosa ne pensi tu?”
S.B.: “Penso che, nel mondo dello sport, il mondo dello sport soffra molto di questo “super tecnicismo” e che poi, lasci molto da parte tutta l’altra visione dello sport che è, appunto, relazione, empatia, emozione! Hanno sdoganato, molti studiosi, l’importanza dell’emozione all’interno dell’apprendimento e dell’apprendimento, quindi, non solo cognitivo, ma anche motorio! E quindi, c’è molta, molta più esigenza, dal mio punto di vista, di formare gli istruttori all’empatia.. anche se non sono d’accordo su quello, su questo termine formale, perché l’empatia o si ha o non si ha, si può solo cercare d’incrementare, piuttosto che, invece, dare semplici nozioni tecniche. Quindi, il nostro lavoro, in particolare il mio, è puntato al 99% su questo!”
A.F.: “Ringrazio tanto Salvatore per la sua disponibilità!”
S.B.: “Arrivederci!”
A.M.: “Da Andrea Mameli..”
A.F.: “..e Andrea Ferrero..”
A.M.: “..grazie per averci ascoltato!”
A.F.: “Un caro saluto e alla prossima!”
“Oltre le barriere” è una trasmissione ideata e condotta da Andrea Ferrero e Andrea Mameli per Radio X Cagliari Social Radio.
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I podcast li trovate nel sito www.radiox.it.

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